Per ridare fiducia agli elettori, Renzi realizzi almeno parte delle promesse

Prefazione di Sandra Zampa al libro “Un anno vissuto pericolosamente. Matteo Renzi e il futuro dell’Italia” di Stefano Natoli. Ed. Castelvecchi

Non si comprende Renzi, anzi «il fenomeno fiorentino» per dirla con l’autore di questo libro, se ci si limita ad analizzare pregi e difetti della sua personalità: dalla straordinaria energia impressa ad ogni attività agli eccessi della sua comunicazione.

Per capire come mai le cose sono andate come sono andate, occorre collocarlo nella contingenza storico-politica che lo ha prodotto e tenere nel debito conto il peso della fallimentare prova dei partiti del centrosinistra di fronte alla responsabilità di governo e alla necessità di coerenza nella costruzione del Pd.

È sui tanti errori di chi lo ha preceduto, sui tradimenti del progetto del partito nuovo nato dall’esperienza ulivista, sulle divisioni interne al centrosinistra con conseguenti delusioni presso elettori e militanti che Renzi ha costruito larga parte del proprio successo ed è ciò che gli ha permesso di trasmettere all’opinione pubblica un giudizio liquidatorio della storia che lo ha preceduto, vent’anni appunto, quasi fossero un unico fallimento da dimenticare.

Per me, che ho visto nascere l’Ulivo nella mia città di vita, Bologna, esattamente 20 anni fa, nel febbraio 1995, e ho vissuto nel 2006, con l’Unione, il secondo tentativo di portare a conclusione un disegno volto a tenere unite le forze di centrosinistra in un sistema bipolare e a produrre oltre a un metodo nuovo, fondato sul riconoscimento della sovranità del cittadino in politica, un pensiero nuovo attorno a cui costruire politiche riformiste, quel fallimento è chiarissimo.

Non deve sfuggire tuttavia che, oltre e al di là degli indiscutibili risultati raggiunti dai due esecutivi guidati da Prodi, al quale è stato chiesto di vincere le elezioni ma poi è stato impedito di governare, senza quei venti anni, senza la fatica di quanti posero a dimora l’Ulivo, non sarebbe stato innovato il sistema politico tanto da permettere a un meno che quarantenne sindaco senza altri incarichi politici di assumere con primarie realmente «competitive» la guida del più importante partito del Paese.

Non deve sfuggire ancora che non esisterebbe il Pd, la cui necessità storica è testimoniata dal successo ottenuto alle Europee. Il superamento della fatidica soglia del 40% dei consensi elettorali è certamente dovuto alle capacità e all’impegno del segretario che, a differenza di chi lo ha preceduto, è stato percepito come attendibile interprete della novità che il Partito democratico aveva promesso di poter essere.

Renzi ha saputo riaccendere la speranza ma quel successo è dovuto anche alla semplice esistenza del Pd. Conferma che aveva ragione chi aveva compreso, venti anni fa, che per salvare le culture politiche fondative del centrosinistra occorreva cambiare.

Nei Paesi europei dove si sono presentate le tradizionali forze della sinistra, i risultati elettorali sono stati assai deludenti e sono avanzati movimenti populisti o forze radicali. In Italia, per fortuna, non è andata così e ci stiamo misurando con la possibilità di superare la crisi senza pagare prezzi ulteriori o correre rischi aggiuntivi.

Ma, ancora, della «fenomenicità» di Renzi si comprenderebbe poco se non si tornasse con la memoria al clima politico che accompagnò la mancata vittoria elettorale del Pd guidato da Bersani nel 2013. Una tragedia – a tratti una farsa – per chi l’ha vissuta. Una campagna elettorale sbagliata, un lungo periodo di paralisi del Parlamento, sospeso in attesa dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, una fallimentare prova dei cosiddetti «grandi elettori», non solo incapaci ma sleali, costretti a costringere l’uscente Presidente Napolitano a un inedito e storico «bis», il governo delle larghe intese a guida Letta, scaricato tanto dai renziani quanto dalla minoranza dem (con eccezione di Civati e alcuni suoi delegati in direzione), sfiduciato dal Pd a larga maggioranza (136 a favore, 16 contrari) con un ordine del giorno.

Oggi tutto questo sembra lontanissimo nel tempo. Anzi, in questi giorni, a ridosso di quello che è stato considerato il «capolavoro» politico di Renzi, l’elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica, sembra preistoria, immersi come siamo nel clima di «pacificazione» tra le correnti dem: da Bersani a Rosy Bindi tutti rivendicano un ruolo personale nel risultato.

Renzi appare «il dominus assoluto della politica italiana», scrive l’autore di questo documentato lavoro che mette a disposizione nostra e dei lettori una quantità straordinaria di elementi di conoscenza e di informazioni sul «fenomeno fiorentino». Gli sarà grato lo studioso che in futuro vorrà dedicarsi al tema perché avrà a disposizione una raccolta di dati difficili da ritrovare a distanza di tempo, tanto più quando le fonti sono, come in questo caso, televisioni, quotidiani, periodici online, tweet, post e altro ancora. Scrivere di Renzi e della politica al tempo di Facebook implicherà consultare i nuovi media e «combattere» con la velocità cui le informazioni attraversano l’etere e raggiungono l’opinione pubblica formandola e condizionandola.

Sfogliando queste pagine ci si imbatte nelle tante, tra loro contraddittorie interpretazioni del «fenomeno»: Renzi è come Machiavelli, come La Pira, Fanfani, Berlusconi, Craxi… E così via. A osservarne e studiarne le decisioni, tutte rapide, anzi fulminee, emerge con evidenza che Renzi ha un metodo preciso: cercare la soluzione con estremo pragmatismo uscendo personalmente rafforzato dalla prova. Per questo poco importa se in passato si è sostenuta una tesi e successivamente se ne sostiene una diversa: quel che conta è venir fuori in modo positivo dal problema contingente.

Prematuro valutare dove il «renzismo» porterà il Pd e cosa porterà al Paese. Di certo sarà necessario tenere insieme tutto il partito, tanto più ora che, a seguito dell’elezione del Presidente Mattarella, il cosiddetto «Patto del Nazareno» è venuto meno.

La speranza di chi scrive è che il segretario voglia impegnarsi, in un confronto vero (che non dipende certo solo da lui), a dar seguito coerente al troppe volte interrotto progetto di stabilizzare il bipolarismo che, per come l’Ulivo l’aveva immaginato, sanciva una netta distinzione tra due proposte idealmente, culturalmente e moralmente, programmaticamente e politicamente alternative. Occorre dunque fare attenzione al rischio di uno sbiadimento dell’identità del partito reso più concreto dalla legge elettorale dell’Italicum che assegna il premio di maggioranza alla lista, non alla coalizione, e, dunque, avvantaggia il bipartitismo e scoraggia il bipolarismo.

In un sistema così, il rischio o la tentazione di andare verso un «partito nazione», con conseguente deriva centrista del Pd nelle politiche di governo, è molto grande.Paradossalmente torneremmo indietro di vent’anni.

Quanto alle tante riforme in cantiere, tutte indicate dettagliatamente e molto utilmente in questo volume, Renzi sa che deve «consegnare» agli elettori almeno una parte del cambiamento promesso. In un Paese dove i cittadini hanno perso fiducia totalmente nella politica, cioè in se stessi come popolo o nazione, solo questo può essere l’inizio di una nuova relazione tra istituzioni e società. La strada da percorrere è, però, ancora molto lunga.

Sandra Zampa, vicepresidente Pd

 

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abc last mar 15, 2015 Categorie: Documenti
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