Renzi ha restituito speranza al Paese. Ma ora seguano decreti, fatti, e decisioni concrete

“Renzi ha ridato speranza al Paese”

Intervista di Daniele Giacinti a Sandra Zampa su L’Indro del   aprile 2014

“È stato molto capace di restituire speranza, quindi è positivo da questo punto di vista. Mi sembra che Renzi sia riuscito a trasmettere una parte della sua energia e della sua determinazione al Paese”. Così Sandra Zampa, onorevole del Partito Democratico e vicepresidente della Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza, commenta questo primo mese e mezzo del Governo Renzi. L’ex portavoce di Romano Prodi si è soffermata anche sull’antipolitica “Si combatte con la buona politica. Io capisco perfettamente chi difronte a comportamenti ignobili, al malcostume, all’ignoranza, ai privilegi e alla stupidità non ce la fa più. Quindi è normale che l’antipolitica aumenti, ma puoi rispondere solo con la buona politica”.

On. Zampa, come valuta questo primo mese e mezzo del Governo Renzi?

È stato molto capace di restituire speranza, quindi è positivo da questo punto di vista. Mi sembra che Renzi sia riuscito a trasmettere una parte della sua energia e della sua determinazione al Paese. Però adesso bisogna che seguano decreti, fatti, e decisioni concrete.

La critica abbastanza trasversale che si sta sollevando contro il Premier è che sta facendo solo annunci, che i fatti non si sono visti e che molti degli annunci si risolveranno in un nulla di fatto. Cosa c’è di vero negli annunci di Renzi?

Voglio ricordare che dopo tanti anni passati a discutere di legge elettorale, la Camera dei Deputati l’ha finalmente approvata ed ora sta al Senato. Oggi stiamo votando in terza lettura l’abolizione delle provincie, il decreto Lavoro sta arrivando in Commissione, credo che in un mese sia stato fatto molto. Anzi mi preoccuperei di prendercela un po’ più calma e di essere sicuri di fare dei passi che portano ad un miglioramento.

Non crede che sia stato un po’ ‘fastidioso’ far dimettere il Governo Letta, dopo che poche ore prima aveva lanciato #Enricostaisereno?

Ho sempre pensato che la soluzione migliore fosse, per Letta, un governo di scopo, ed in questo modo anche per quell’esecutivo la vita sarebbe stata notevolmente più facile. Però ho detto anche più volte che il modo non mi è piaciuto assolutamente.

Gli annunci di Renzi recitavano: ‘abolizione delle Province’, ‘abolizione del Senato’. Il Premier, sia in riferimento al Senato sia in riferimento alle ‘Province’, continua usare il termine ‘abolizione’, ma, di fatto, in tutti e due i casi, si deve parlare di ‘riforma’. Quali sono, a Suo avviso, i punti criticabili e critici di queste due ‘riforme’?

Sono vent’anni che tutti vogliono abolire le province e le abbiamo abolite. Credo che adesso sia molto importante che qualcuno provveda in modo tale non ci siano dei buchi, cioè le funzioni che spettavano alle provincie, vengano assicurate.

In queste ore anche Stefano Rodotà ha firmato l’appello di Giustizia e Libertà per difendere la Costituzione. Crede che ci sia veramente un rischio verso una svolta autoritaria, e lo stravolgimento della Costituzione? E, se no, perché?

Io ho massimo rispetto di Giustizia e Libertà. Credo che da parte di Renzi avrebbero potuto esserci più pazienza e volontà di confronto. Si potevano ottenere gli stessi risultati: diminuzione numero parlamentari, riduzione costi, cambiando però il modo in cui la riforma è stata pensata. Non temo le svolte autoritarie. Sono costretta a ricordare che proprio qualche giorno fa è stata rilanciata una proposta di legge per il monocameralismo che prevedeva l’abolizione del Senato, e questa legge porta la firma di Stefano Rodotà. Credo che si potesse mantenere il Senato in base elettiva, con altre funzioni, diminuendo lo stesso numero dei parlamentari, tagliando in entrambe le camere.

Prima tutte le urgenze si concentravano sulla legge elettorale, ora su l’Italicum ci sono forti ritardi, potrebbe slittare dopo la riforma del Senato?

Questo non dipende da me, non sono sono in grado di dirglielo. Ormai è in Senato e sono loro che decidono. Il patto prevedeva che prima venisse approvato l’Italicum e poi avviata la riforma del Senato.

Concertazione addio. Secondo lei non ‘ascoltare’ i Sindacati piuttosto che le Associazioni datoriali non rischia di gettare il Paese nello scontro sociale perenne?

Quelle tra Renzi ed i sindacati mi sembrano più parole che scontri veri. Il punto sulla riforma del lavoro deve ancora cominciare, saranno lì le eventuali difficoltà.

Che democrazia è quella senza concertazione espressa da Renzi? La democrazia 2.0 è democrazia senza concertazione?

Io credo che Renzi abbia voluto dire che non gli interessa una concertazione in cui alla fine il risultato è che non si decide mai niente. Avendo vissuto i due anni del Governo Prodi credo che sia sostanzialmente condivisibile. Concertare significa sedersi ad un tavolo ed uscire con una decisione condivisa. Però è chiaro che per far questo, tutti devono lasciare qualcosa.

Non crede che i partiti tradizionali, a partire dal PD o meglio dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, stiano rincorrendo troppo e solo Beppe Grillo e in genere l’antipolitica e che alla fine questi tentativi facciano male alla politica, all’obiettivo di combattere l’antipolitica e in fine al Paese?

Io la vedo al contrario: secondo me è Grillo che insegue Renzi. Infatti non si è mai sentito in aula da inizio legislatura, che esponenti del M5S attaccano il premier tutti i giorni. Questo è un segnale importante e vuol dire che gli fa paura.

A Suo avviso cosa serve per davvero per combattere l’antipolitica?

Si combatte con la buona politica. Io capisco perfettamente chi di fronte a comportamenti ignobili, al malcostume, all’ignoranza, ai privilegi e alla stupidità non ce la fa più. Quindi è normale che l’antipolitica aumenti, ma questo puoi rispondere solo con la buona politica. Però, voglio anche dire che il Parlamento è lo specchio dell’Italia.

Uno dei problemi dell’antipolitica che entra nelle istituzioni è che molto spesso, lo si è visto in questi mesi, gruppi come quello del M5S non hanno i numeri per far passare provvedimenti, ma hanno i numeri per bloccare l’attività, già lentissima, del Parlamento. Cosa fare per essere più produttivi senza intaccare la democrazia?

Il problema della lentezza si può risolvere con moltissima semplicità, cambiando il regolamento della Camera. Sono dieci anni che si parla di questa riforma, ma ancora non è stata fatta. Se avessimo un regolamento più efficiente questa Camera sarebbe più produttiva.

Per le Europee qual è l’avversario che teme di più? M5S oppure la destra?

Temo la somma. Sono completamente diversi, ma portano avanti argomenti simili. Da una parte c’è il “no” all’apertura al mondo di Forza Italia, dall’altra invece l’idea dell’uscita dall’euro portata avanti dal M5S, che però gioca tutto sull’ignoranza delle persone. Non si dice alla gente la verità, dal punto di vista economico sarebbe il disastro.

Che cosa distingue il PSE dalla lista Tsipras?

Per quanto riguarda Tsipras c’è la radicalizzazione dei temi, mentre il PSE ha un approccio “governativo”. Però io credo che nella sostanza l’idea dell’Europa non sia così tanto distante. Tutti noi ci stiamo muovendo perché questa Europa non ci piace, e la vogliamo cambiare.

Il binomio astensionismo-populismo che ha vinto in Francia rischia di ripetersi anche alle europee?

Qui capisco la fretta di Matteo Renzi. Credo che il suo più grande sforzo sia quello di evitare scenari peggiori. Se anche il PD con tutte le difficoltà, andasse in sofferenza, questo Paese sarebbe veramente nei guai.

Perché la sinistra storica non è riuscita a far confluire il PD nel PSE, mentre c’è riuscito un cattolico-popolare come Renzi?

In realtà, Renzi si è trovato in mano un percorso già concluso, e poi il PSE ha anche cambiato il suo nome: gruppo dei Socialisti & dei Democratici. Quindi c’è anche da parte loro un passo in avanti.

Con la rielezione di Napolitano si conclude per il PD una delle pagine più amare della sua storia. Cosa successe quel giorno? E sopratutto perché il PD ancora deve far uscire quei nomi?

È stata una somma di ragioni: vendette incrociate, personalismi e anche una certa inabilità nella gestione della vicenda. I nomi non sono stati resi noti, poiché una parte del partito non li conosce e purtroppo l’ipocrisia copre ancora troppo.

Poco giorni dopo la mancata elezione di Prodi, durante un incontro a Piacenza l’onorevole Paola De Micheli (segreteria Bersani in quota Letta) riferendosi a Renzi aveva usato l’espressione “La prima gallina che canta ha fatto l’uovo”. Secondo lei il Premier riuscirà a tenere unito il partito, oppure il PD è destinato a dividersi?

Tutte le componenti all’interno del PD hanno partecipato. Io personalmente non credo che Renzi abbia mai chiesto ai suoi di votare contro Prodi. Nessuna corrente è stata esclusa da quel famoso numero che è nettamente superiore a 101, almeno 120.

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