Non serve cancellare l’Articolo 18. Sul Jobs Act serve un confronto

Jobs Act, Sandra Zampa (Pd): «Renzi chiarisca sull’articolo 18. Il referendum? Utile»

Intervista di Alberto Sofia a Sandra Zampa su Giornalettismo del 24 settembre 2014

Sul lavoro scontro tra renziani e sinistra dem: per la parlamentare «toni inaccettabili da entrambe le parti, dobbiamo confrontarci in direzione». E rilancia la consultazione: «C’è ancora tempo per ascoltare gli iscritti»

Tra accuse e veti incrociati, una mediazione sembra complicata. Su “Jobs Act” e articolo 18 il Partito democratico rischia di lacerarsi: da una parte Renzi e i suoi fedelissimi, dall’altra la sinistra del partito, contraria al superamento del diritto al reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa. Le minoranze hanno presentato sette emendamenti alla riforma del lavoro: dalla previsione della piena tutela dell’articolo 18 per tutti i neoassunti dopo i primi tre anni di contratto a tutele crescenti, fino alla modifica che lega l’entrata in vigore dei decreti attuativi che rivedono l’articolo 18 a quelli sui fondi per gli ammortizzatori sociali. Anche perché il timore è che le risorse per le tutele universali, annunciate e promesse dal governo, non ci siano.

Renzi però non sembra voler cedere: l’unica concessione potrebbe essere quella di prevedere l’articolo 18 soltanto dopo 10 anni di assunzione. Una prospettiva che non attira le minoranze, tra le quali c’è chi continua a invocare il ricorso al referendum, per consultare gli iscritti. «Sarebbe corretto ascoltarli, c’è ancora tempo per farlo», ha spiegato a Giornalettismo la vicepresidente dell’Assemblea Pd, Sandra Zampa. Convinta che sia necessario «moderare» i toni nel partito, anche perché il rischio è quello di un “redde rationem” nella direzione di lunedì prossimo. Con l’ombra di una scissione nello sfondo.

Onorevole Zampa, il Partito democratico è tornato a dividersi, con le minoranze critiche sul “Jobs Act” e sul possibile superamento dell’articolo 18. Lei condivide l’impianto della riforma? E come si evita una lacerazione nel partito?

«Non si è entrati nel merito della questione. Non ho sentito ancora parole chiare sul tema dell’articolo 18. Dato che si dice che non è questo il problema per l’occupazione, non si capisce perché bisogna toglierlo. Ho visto una marea di insulti reciproci, ma Renzi, che si è assunto la responsabilità di guidare il partito, deve abbassare questi toni. Non si può trasmettere ai nostri elettori l’immagine che il nemico sia all’interno dello stesso Pd. Il segretario ha detto in passato che l’articolo 18 non era un problema, adesso i vertici del partito devono chiarire qual è l’orientamento su questo punto. Nel testo consegnato in Senato non c’è scritto che il diritto al reintegro verrà eliminato. La legge delega non può essere generica, soprattutto su temi così importanti. E l’estensione dei diritti non può prevedere che ci siano lavoratori di categoria A, B o C. Né per parificare tutto si possono togliere diritti a tutti, soltanto per fare contento qualcuno. Ci diano dei dati: c’è più occupazione se si procede in questo modo?»

I vicesegretari Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini hanno però invocato disciplina e senso di responsabilità. Stare dentro un partito non comporta dover rispettare le decisioni prese a maggioranza?

«Io mi appello alla civiltà del confronto, che deve essere condotto in direzione. A tutti però bisognerà lasciare la possibilità e il tempo di parlare. Poi, posso comprendere che si dica che si debba andare verso la direzione che è stata votata. Io penso che sia giusto che alla fine, quando si vota, si prenda atto delle decisioni della maggioranza. Se non si vuole assolutamente votare, invece, a quel punto si può non partecipare al voto. Come ricordo fece un’eroica collega della commissione Lavoro nella triste pagina della riforma Fornero».

Ritiene che ci sia la possibilità di chiedere il parere degli iscritti con un referendum?

«Io penso che sarebbe corretto consultare i nostri iscritti e che ci sia ancora la possibilità di farlo. Sarebbe un esperimento molto utile e interessante. Ci sono circoli che ci chiedono di fare attenzione e di riflettere. Anche perché, proponendo così questo argomento, non si possono che scatenare divisioni. Se aggiungiamo che oltre a questo c’è anche chi spinge per tornare al passato, agli ex Ds e agli ex Margherita, tutto diventa insostenibile. Trovo sconcertante che questo accada, a me questa situazione non interessa. Ma allo stesso tempo trovo assurdo che il gruppo dirigente non intervenga per rasserenare i toni. Vero che l’aggressività è partita da tutte e due le parti, ma chi ha più responsabilità deve riportare la discussione su binari politicamente più civili».

C’è chi ha evocato il rischio di una scissione nel Pd. Secondo lei è uno scenario possibile?

«Il rischio c’è sempre, mi preoccupa questa muscolarità del dibattito. C’è un comportamento incivile da entrambe le parti: basta con gli slogan della serie “abbiamo vinto noi”, sono inaccettabili. Io penso che bisogna discutere e confrontarsi nel merito in direzione. Ci sono molte cose buone nel “Jobs Act”. Credo che sia chiaro a tutti che la riforma deve essere fatta, che sia necessaria. La nostra gente sta soffrendo perché manca il lavoro, non credo serva regalarle un dibattito sterile e basato sulle prove di forza. Come voterò? Personalmente aspetto che si faccia chiarezza in direzione su tutti gli aspetti della riforma»

E se il “Jobs Act” passasse in aula con i voti determinanti di Forza Italia?

«Questo sarebbe un problema serio. Rischio di un governo di larghe intese? Non so, non mi piace pensare a questa prospettiva. È un momento drammatico, abbiamo il dovere di essere più sobri. Forse stiamo parlando tutti un po’ troppo all’interno del partito».

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abc last set 25, 2014 Categorie: Media ,Media ,Sui mass media
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