Se il PD fosse complice di un salvataggio di Berlusconi i nostri circoli verrebbero assaliti. Al congresso l’ultima possibilità di far nascere il PD

Romano Prodi, Sandra Zampa e l’ombra dei 101 sul Congresso del Pd

Intervista di Alberto Sofia a Sandra Zampa del 13 ottobre 2013

L’intervista a Giornalettismo della portavoce del Professore. L’autrice del libro “I tre giorni che sconvolsero il Pd” svela i retroscena sul tradimento ai danni del padre fondatore dell’Ulivo durante la corsa al Quirinale.

Si era capito prima del quarto scrutinio che qualcuno stava tramando contro il Professore?

«Nella lunga mattinata tra l’ovazione del Capranica e la votazione delle 15, alcuni di noi, compresa me, abbiamo avuto l’impressione che stesse succedendo qualcosa. A nostra insaputa si stava costruendo una trappola. In tarda mattinata ho ricevuto una telefonata di un collega che mi annunciava come si parlasse di una presunta indisponibilità da parte di Sel. Risposi in modo brusco e dissi che per me era una sciocchezza. Per Vendola e i suoi l’opzione di Prodi era convinta (con uno stratagemma da vecchia Democrazia cristiana, il presidente della Regione Puglia e il capogruppo Gennaro Migliore decisero di siglare i voti di Sel “R.Prodi”, per rendere le schede riconoscibili e allontanare possibili accuse, ndr). Se durante il quarto scrutinio decisero di “firmare” i voti è perché anche loro vennero a sapere che qualcuno nel Pd andava a dire che non avrebbe votato a favore del Professore. Anche per loro era stata preparata una trappola. Basta vedere quanti voti in più prese Rodotà: più o meno quelli che corrispondevano al numero dei delegati vendoliani». [Per l’esattezza il giurista salì fino a 213 preferenze, 51 in più rispetto ai 162 voti garantiti dai parlamentari a 5 stelle, ndr].

Alcune fonti interne al Pd denunciarono a Giornalettismo come già dai primi giorni post-elezioni si fosse parlato del progetto Letta-Napolitano. Che peso ha avuto la corrente dei sostenitori delle larghe intese?

«Sicuramente chi temeva di tornare alle elezioni, preferiva di gran lunga le larghe intese. Si è tentato di affondare il progetto che gli ulivisti hanno provato a portare avanti dentro il Pd. Lo stesso che ora è abbracciato da generazioni e politici più giovani come Matteo Renzi e Giuseppe Civati. Qualcuno ha preferito continuare nella vecchia logica dei governi scelti dai capicorrente e dai capipartito, invece che rispettare la parola degli elettori. Se c’è una cosa che Prodi ha sempre rifiutato erano questi accordi da Prima Repubblica: chiaro che il Professore rappresentava una discontinuità forte. Chi non lo voleva, non voleva il cambiamento».

Lei quando ha compreso che contro Prodi era pronta l’ “imboscata”?

«Molto tardi, durante la mattinata. Io sono arrivata al Teatro Capranica quando la riunione era già iniziata. Rimasi alla porta: da lì vedevo gran parte della sala, ma non tutta. Quando Bersani pronunciò il nome di Prodi, scattò l’applauso e diversi cominciarono ad alzarsi in piedi. Erano tutti giovani e insieme a loro, a vista d’occhio, sembrava si fossero alzati tutti. In fondo, poi, mi dissero come ci fosse stata gente che non si era alzata e che aveva comunicato ai suoi vicini la sua contrarietà. [Una versione simile fu svelata a Giornalettismo da una bersaniana delusa: “Nonostante tutti parlavano di acclamazione, non c’era unanimità sul nome di Prodi. Che qualcosa non fosse chiaro lo si era capito: non tutti avevano applaudito, altri si erano semplicemente nascosti”, spiegò, ndr]. Se questo avvenne fu perché la notte era stata lunga e c’era chi si pretendeva le primarie tra Romano Prodi e Massimo D’Alema. Peraltro io ho poi scoperto che Prodi aveva chiesto che il suo nome venisse votato e non per alzata di mano. La notte tra il 18 e il 19 aprile avevo ricevuto una telefonata da un “Giovane Turco” (la corrente creata da esponenti anagraficamente più giovani, ma di antica militanza, gran parte tra le file dei Democratici di Sinistra, ndr): mi chiese se, secondo me, Prodi sarebbe stato contrario alle primarie. Risposi di credere di no, ma come occorresse avvisarlo, dato che si trovava in Africa. Stessa richiesta l’ho ricevuta con un sms il mattino seguente, poco prima delle 8. Risposi allo stesso modo. Apprenderò soltanto in seguito che la questione era stata superata, perché sulla candidatura di D’Alema, avanzata dai suoi fedelissimi, non si era proceduto perché non c’era stato consenso sull’ipotesi di fare le primarie».

Perché Bersani fece l’errore di fidarsi dell’ovazione?

«Lui cercò di chiedere la votazione. Ma gli applausi e le persone in piedi di fatto lo impedirono. Poi intervenne Luigi Zanda (il capogruppo del Pd in Senato, ndr), che propose di votare per alzata di mano. Nessuno in realtà credo contò le mani. Si ebbe una specie di tripudio: io rimasi stupita. Avevo dato per chiusa la possibilità della candidatura del Professore e sapevo come sul suo nome non ci fosse mai stata questa condivisione interna generalizzata. Mi aveva talmente colpito che avevo mandato un sms a Prodi, raccontandogli di un’accoglienza commovente. Ma verso le 12.30 mi arrivò la singolare chiamata sulla presunta indisponibilità di Sel, subito negata da Vendola e Migliore. Quando chiamai il Professore gli confidai cosa fosse successo e lui mi rispose testualmente: “Guarda Sandra che io ho già capito che non passerò”. Dalla chiamata con D’Alema aveva capito che il clima non era quello giusto e che non ce l’avrebbe fatta»

E il Movimento 5 Stelle?

«Grillo ha detto e non ha detto. Nei giorni precedenti il M5S fu oscillante. Prima lasciò intendere che avrebbe votato Prodi, dato che il suo nome era nella lista dei candidati più votati delle Quirinarie. Ma quando il nome di Prodi era uscito davvero fuori, arrivò la chiusura totale. Si incontrano con Rodotà e da lì si concordò la famosa nota («Per parte mia non sarò d’ostacolo qualora il Movimento Cinque Stelle voglia prendere in considerazione soluzioni diverse», ndr). Io l’ho pubblicata testualmente: per me non è una rinuncia. Soltanto una disponibilità qualora lo avesse chiesto il M5S»

Nel suo libro ricorda anche come non pochi, come Giuseppe Fioroni, avessero preparato una sorta di alibi, fotografando la scheda e poi mostrandola. Quale significato ha attribuito a questo gesto?

«Come ben sa non è complicato fare una foto e passarsela attraverso il cellulare. Alla comunità del Pd i fotografi devono ancora spiegare una cosa: perché l’hanno fatta? Che cosa avevano saputo? E soprattutto perché non hanno avvertito Bersani, Bindi o Franceschini? Il tempo per ritirare la candidatura c’era. Si poteva votare ancora scheda bianca e poi riunirsi ancora. Anche loro erano dei dirigenti politici: perché non hanno sentito il dovere di avvisare per evitare un passaggio così drammatico? Si prepara una prova a discolpa quando si ha indizio che possa accadere qualcosa che la rende necessaria. Tutto lascia pensare che in molti sapessero cosa si stava preparando. Io non ho ancora sentito alcuna spiegazione. Quando c’è stata la bocciatura di Marini, noi avevamo mostrato pubblicamente la nostra disapprovazione. Non sono d’accordo con chi ritiene simili le due questioni. C’è poi il caso di diversi telefonisti che organizzavano chiamate “personalizzate” per sollecitare a non votare Prodi: nel mio libro ricordo il caso di Ugo Sposetti (ex tesoriere Ds e dalemiano doc). Due miei colleghi, vicini alla sua area di partito, mi hanno riferito di avergli telefonato per fargli notare che, di fronte a un risultato negativo, così facendo avrebbero dato la colpa a D’Alema. Certo, Sposetti non era l’unico telefonista in servizio. Smentite? No, Sposetti ha una sua coerenza e si è assunto la responsabilità delle sue posizioni. (Anche se nei giorni successivi, come scrisse il Corriere della Sera, Sposetti smentì di essere tra i 101, ndr)».

Oggi il fantasma dei 101 traditori ritorna in vista del voto al Senato per la decadenza di Silvio Berlusconi. Teme rischi? Qualcuno, al contrario, ha azzardato anche la possibilità di salvagenti da parte del MoVimento 5 Stelle, in caso di voto segreto, per poi dare la colpa al Pd. La ritiene credibile?

«Trovo indegne e indecorose queste indiscrezioni, ma prendo atto che la politica sia ormai arrivata a livelli inqualificabili. Di certo lavorare con il M5S è complicato, è un peccato che si limitino a testimoniare il loro dissenso. Per quanto riguarda il rischio di nuovi franchi tiratori nel Pd, non credo che il mio partito non sia in grado di comprendere che se avvenisse qualcosa del genere noi saremmo costretti a chiudere. Dovremmo ritirare il simbolo! La notte di Prodi i nostri circoli sono stati occupati e noi siamo stati sommersi di e-mail e di insulti. Ancora oggi ci chiedono se facciamo parte dei 101 e perché non avremmo votato per il Professore, pretendendo la verità. Se il Pd fosse complice di un salvataggio di Silvio Berlusconi i nostri circoli verrebbero assaliti. Il partito dovrebbe scomparire. Mi aspetto che dia prova di serietà, votando in modo compatto per la decadenza. In passato anche noi del Pd abbiamo utilizzato dei meccanismi per dimostrare, anche in caso di voto segreto e di fronte alle telecamere, di non essere responsabili in caso di tradimenti (il trucco di mettere nella buca dello scranno, al momento della votazione, solo l’indice della mano sinistra, ndr). Voto palese? Non mi sono fatto un’idea. Io penso che anche in caso di voto segreto ci sia bisogno di onestà. Come può un democratico votare affinché Berlusconi venga sottratto alla giustizia? Tra l’altro inutilmente, dato che scatterebbe comunque dopo l’interdizione dai pubblici uffici»

Berlusconi è stato dato tante volte per finito. Dopo la sconfitta nel voto di fiducia al governo Letta e con la decadenza in arrivo, riuscirà a cavarsela ancora?

«La parabola della fine è in stato avanzato. Ha imboccato la strada del tramonto. Avendo intrecciato la sua vicenda personale e giudiziaria con quella politica, esce per via giudiziaria. Ma finisce anche politicamente, non essendo mai riuscito a distinguere le due questioni»

Sul Congresso peserà l’ombra dei 101? È stata ritrovata la fiducia interna o la frattura è rimasta?

«Siamo ancora in balia delle correnti. Mi aspetto che ci sia un ultimo appello all’unità. Siamo chiamati a una decisione finale: vogliamo farlo nascere o no questo partito? Per noi è l’ultima occasione»

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Una replica a “Se il PD fosse complice di un salvataggio di Berlusconi i nostri circoli verrebbero assaliti. Al congresso l’ultima possibilità di far nascere il PD”

  1. Enrico scrive:

    Se i 101 sono imprendibili, si facciano vivi almeno i 352 che Prodi l’han votato. Poi faremo la differenza http://irrigolare.wordpress.com/2013/10/15/se-i-101-sono-imprendibili-escano-almeno-i-352/

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