Legge elettorale: No ad astuzie per rinviare le elezioni o produrre nuove larghe intese, Sì a introdurre la parità di genere

Riforme, la minoranza PD fa male al partito e al Paese

Articolo di Sandra Zampa su L’Unità del 6 marzo 2014

Nel Partito Democratico non ci eravamo ancora abituati all’azzardo renziano – andare al governo senza passare dalle urne – che con l’Italicum, utilizzabile per le elezioni della sola Camera dei deputati, ci troviamo ad affrontare un triplo salto mortale nel cerchio di fuoco.

“Fare una nuova legge elettorale solo per la Camera – ha scritto Roberto D’Alimonte sul suo Osservatorio politico – significa non fare la riforma elettorale“.

Ciò è avvenuto con l’apporto determinante della minoranza che ha sostenuto Gianni Cuperlo al Congresso Pd: porta infatti la firma di Alfredo D’Attorre, parlamentare bersaniano, l’iniziativa che ha spalancato le porte all’Italicum dimezzato e che prevede appunto uno sganciamento della riforma della legge elettorale dalla complessiva riforma costituzionale con il superamento del Senato così come lo conosciamo ora.

Per dirla in parole semplici: stiamo votando alla Camera una legge che presume che il Senato sia già abolito o sarà certamente abolito e che, dunque, non sarà necessaria alle prossime elezioni alcuna legge per senatrici e senatori.

Un pasticcio di cui, prendendo la parola all’assemblea del gruppo Parlamentare PD di martedì pomeriggio, ho chiesto ragione come avrebbe fatto Alice nel Paese delle Meraviglie, per essere certa che tutti, ma proprio tutti, avessimo piena consapevolezza di ciò che stavamo decidendo.

“Cosa accadrebbe – ho chiesto – se l’Italicum, che è un sistema maggioritario, passasse e non arrivasse in porto la riforma che abolisce il Senato? Si eleggerebbero i deputati con l’Italicum e si voterebbe invece con un sistema proporzionale al Senato (tale è infatti la legge elettorale attuale per effetto della sentenza della Corte Costituzionale)”.

La domanda di Alice è rimasta senza risposta. I deputati “renziani” hanno fatto sentire voci diverse sul tema: netta la contrarietà di Gentiloni ma anche di Roberto Giacchetti, lo strenuo difensore-digiunatore pro Mattarellum, alla soluzione Italicum dimezzato.

Pieno di speranza e ispirato dalla certezza che dall’ennesimo azzardo possa arrivare all’Italia un beneficio, l’intervento di chi, già sostenitore della mozione Renzi, ha invitato il gruppo parlamentare democratico a procedere.

Eccoci dunque oggi seduti in aula impegnati nel triplo salto mortale del Pd di era renziana, a fare il tifo perché tutto vada bene e si arrivi “al lieto fine”.

Impegnati però anche a discutere tra noi di chi sia la responsabilità di questo passo che Cuperlo giudica positivo mentre tutti gli osservatori anche quelli “vicini” al segretario Renzi, come D’Alimonte, o Stefano Menichini, direttore di Europa, considerano pericoloso, rischioso, e quelli vicini all’area Cuperlo, come Violante giudicano “irragionevole”.

Mi assumo volentieri la responsabilità di una riflessione sul ruolo della minoranza in questa vicenda, una riflessione che vorrei venisse estesa a tutte le componenti del Pd nella relazione interna e reciproca anche in futuro.

Tutti noi sappiamo (e diciamo) che l’interesse del Paese va messo al primo posto e tutti noi sappiamo che ciò implica dare al Paese una legge elettorale che renda possibile andare alle urne “ogni giorno”, cioè appena ciò si rendesse necessario.

È questo il principio che ha ispirato l’iniziativa di D’Attorre? Non credo proprio visto che, a volere pensare bene, l’approvazione dell’Italicum servirà certamente a rinviare le elezioni a tempo indeterminato. A pensare male si potrebbe ritenere che produca larghe intese nuovamente per via di due maggioranze diverse (una alla Camera e una al Senato) o semplicemente a condizionare e imprigionare l’energia di quella novità che ha condotto Renzi alla vittoria schiacciante solo qualche mese fa.

E dire che la legge elettorale fu portata via dal Senato perché si temeva che lá si facesse solo melina per tirare a campare…!

Che senso ha un’opposizione interna che fa male al proprio partito ma soprattutto rischia di far danni ad un Paese già tanto provato? Dove ci hanno portati gli stratagemmi e le astuzie di questi anni? A tradire il nostro progetto e a mettere insieme sconfitte. Non sarebbe l’ora di lavorare in coerenza con quel bellissimo progetto politico che abbiamo chiamato Partito Democratico? Di sotterrare l’ascia di guerra (lo dico proprio a tutti gli esponenti delle minoranze), e passare a una relazione anche critica ma rispettosa del cuore del nostro progetto?

Va in tutt’altra direzione invece la questione di “genere” che poco ha a che fare con i giochi delle correnti e gli equilibri tra maggioranza e minoranza.

È vero, come ha ricordato all’assemblea del gruppo parlamentare l’amico Ivan Scalfarotto, oggi sottosegretario, che per portare a casa la legge contro l’omofobia fu a lui necessario mediare e mediare. Ma li partivamo da nulla e andavamo a conquistare qualcosa.

Nel caso della parità di genere la rinuncia agli emendamenti che portano la firma di tante e tante deputate dem, implicherebbe un secco ritorno indietro: da una conquista sudata passo a passo a poco più che nulla perché le liste restano bloccate anche se corte e l’elettore anche intenzionato a premiare una candidata non potrà farlo con la certezza di assegnare a lei il proprio voto.

Quella della parità di genere è una questione che non possiamo lasciar perdere.

Non lo si chieda alle donne di questo gruppo che rappresenteranno con il proprio voto una storia che non appartiene solo a loro.

La stessa “domanda di Alice” se la pone oggi anche Franco Monaco su Europa Quotidiano: “Una sconfitta per Renzi, ora il rischio è la palude“.

Potete leggere qui il suo contributo.

SZ

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