Crisi: ancora una volta i più poveri pagheranno di più

lug 22, 2009 Categorie: Parlamento ,In Parlamento
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Intervento in Aula

Giulio Tremonti

Giulio Tremonti

Progetto di legge: 2561 (Fase iter Camera: 1^ lettura)

“Conversione in legge del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali” (2561)

 

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l’onorevole Zampa. Ne ha facoltà.

SANDRA ZAMPA. Signor Presidente, quando parliamo di questo decreto-legge, credo che dobbiamo dire, come ha fatto in modo molto felice un collega del mio partito, Antonio Misiani, che si tratta di un’ennesima aspirina somministrata ad un malato di polmonite. Questa immagine vale più di mille parole, per dire di cosa stiamo parlando quando discutiamo (come stiamo facendo da ore in quest’Aula, inascoltati come avviene da oltre un anno), del decreto-legge n. 78.

Si tratta di un decreto-legge noto come decreto anticrisi. Questo è un singolare titolo, visto che il Governo insiste, in una prima fase, nel negare l’esistenza di una grande crisi economica e, poi, ora, nel dire che questa crisi è sostanzialmente finita, esaurita; siamo passati dal non esistere al già concluso. È dalla negazione di questa crisi che cominciano i guai, perché non si può curare bene una malattia se non la si riconosce nella sua portata, se non si capisce che cosa è e quanto eventualmente è grave.

Si rischia, appunto, di usare l’aspirina che può funzionare per un raffreddore, ma che non va bene se si è ammalati di polmonite. Questa crisi, l’hanno detto molto bene colleghi esperti ed autorevoli del mio partito, è la più grave e la più estesa dal punto di vista geopolitico dal 1929 ad oggi, e il Governo l’ha semplicemente esorcizzata: in una prima fase, negandola, in una seconda fase, proclamandola già conclusa. Come è stato notato autorevolmente, il Governo Berlusconi da questo punto di vista si è distinto, anche in questo caso, sul piano internazionale.

L’Italia è l’unico Paese occidentale, il cui Governo abbia minimizzato in modo così grande la portata della crisi della quale stiamo parlando. Il decreto-legge n. 78 non fa eccezione a questo atteggiamento, non si discosta affatto da questa impostazione di fondo; possiamo ben dire che da questo punto di vista la coerenza del Governo non è stata messa in discussione.

Le cifre sono note, ma vale la pena di richiamarle per capire. Nel primo quadrimestre del 2009, la produzione industriale è diminuita del 21 per cento rispetto ai primi quattro mesi del 2008; gli ordinativi sono diminuiti del 30 per cento, e l’export, che ha sempre rappresentato, e rappresenta, il principale sostegno della domanda interna, è crollato del 24 per cento.

Quanto al PIL le previsioni del Documento di programmazione economica e finanziaria lo collocano a meno 5,1 per cento. Prima della sospensione, questo dato è stato evocato con molta preoccupazione, ma altre fonti attendibili, come ricordava un autorevole giornalista due giorni fa, lo collocano addirittura a meno 6 per cento.
A rendere il quadro complessivo più preoccupante per noi, per gli italiani, per il nostro Paese, per le loro tasche oggi e per quelle dei loro figli domani, ci sono altri numeri. C’è l’aumento della spesa corrente, la diminuzione delle entrate, l’aumento della pressione fiscale e l’aumento del debito pubblico. Ancora una volta con questo Governo torna in scena un fantasma che ha turbato i sonni degli italiani e che i due Governi di centrosinistra avevano allontanato da noi. Questi fenomeni confermano il quadro di preoccupazione e – ahimè – dicono che ad avere ragione erano quelli che il Premier avrebbe voluto ridotti al silenzio, quelli che si preoccupavano, come il Governatore della Banca d’Italia, o i vertici di Confindustria, o gli istituti internazionali come l’FMI, l’OCSE e la Banca centrale europea.

Sta intanto facendosi concreta sotto i nostri occhi la temuta crisi occupazionale. L’emorragia di posti di lavoro è iniziata e continuerà fino alla primavera del 2010, e ha – come gli esperti denunciano – carattere strutturale, non congiunturale. Per capirci, si tratta di posti di lavoro che vengono distrutti e che per molti anni non verranno compensati. Vi sono altri numeri e altre cifre che inchiodano il Governo alla propria responsabilità di aver sottovalutato, e di continuare a farlo, la crisi economico-finanziaria. Poco fa un collega evocava la defiscalizzazione degli straordinari, una misura veramente profetica, visto quello che sta accadendo.
Secondo l’OCSE, il Governo italiano ha stanziato in funzione anticrisi risorse nette pari allo 0 nel triennio 2008-2010 contro una media ponderata dei Paesi OCSE pari al 3,9 per cento del PIL.

Nel complesso l’impostazione della politica economica sembrerebbe (il condizionale è d’obbligo vista la dinamica negativa delle entrate e delle spese) essere rimasta restrittiva. Sempre secondo le previsioni OCSE, nel 2009 il rapporto tra indebitamento netto, aggiustato per il ciclo e al netto della una tantum, ed il PIL potenziale in Italia dovrebbe ridursi di 0,4 punti, a fronte di un’espansione di 0,7 punti nella zona euro e di 1,7 punti nella media OCSE.

Le risorse stanziate in funzione anticrisi sono pari a 85 milioni nel 2009, 2.012 milioni nel 2010, 2.469 nel 2011. In termini di PIL sono cifre davvero modeste: 0 nell’anno in corso, 0,14 nel 2010, 0,15 nel 2011. Ma se la quantità di queste misure è modestissima molto scarsa è anche la qualità degli interventi. Il decreto – com’è noto – contiene di tutto: misure sulla previdenza, condoni fiscali, sanatoria per le badanti, chi più ne ha più ne metta. Non è un modo di fare rispettoso del Parlamento, ma non è neppure un modo rispettoso nei confronti degli italiani, ai quali questo Governo consegnerà al termine della legislatura un Paese dai conti nuovamente fuori controllo.

Quello di cui stiamo parlando è un provvedimento che lascia irrisolti i nodi economici e sociali della crisi. Nulla di nuovo è previsto nel decreto-legge per le politiche sociali. I consumi non sono sostenuti; le famiglie, delle quali vi siete tanto riempiti la bocca in campagna elettorale, sono state lasciate sole, più sole, poiché i tagli annunciati alle politiche sociali previsti dal decreto n. 112 del 2008, e confermati in finanziaria restano tali e quali. Le famiglie sono lasciate sole e gli enti locali sono lasciati con meno strumenti per rispondere alla crisi che si fa sentire sui territori.

Tutti noi sappiamo che in questo momento è agli enti locali che tutti i cittadini italiani si rivolgono per trovare aiuto e ai sindaci che viene dato sempre meno possibilità di intervenire. Si tratta di un vulnus al principio stesso da cui muove il federalismo che assegna agli enti locali maggiori responsabilità proprio in ragione della loro vicinanza ai problemi della gente e delle economie dei territori. Ma che proprio in ragione di queste nuove maggiori responsabilità dovrebbe consegnare loro gli strumenti per esercitarle in modo corretto. Questo decreto-legge mette in difficoltà i comuni e gli enti territoriali che già ora sono il luogo cui indirizzano le proprie ansie i disoccupati e i cassintegrati e dai quali si pretendono risposte.

Ma in questa sede vorrei soffermarmi in particolare su uno dei punti più discussi del decreto-legge, laddove si torna a proporre ciò che in campagna elettorale, al momento del patto con gli italiani, si è negato che si sarebbe fatto. Mi riferisco al condono fiscale, perché lo scudo fiscale non è altro che un condono. Questo scudo fiscale non è un altro che un condono. Basta sfogliare le pagine dei giornali per rispolverare le promesse che oggi vengono tradite. Io l’ho fatto e ho potuto rileggere ciò che il Ministro Tremonti assicurava in occasione di un videoforum con un quotidiano nazionale. Era il 3 marzo 2008: «Farete nuovi condoni?» chiedeva il giornalista al Ministro in pectore? «Oggi non ci sono più le condizioni per farli» assicurava Tremonti che intanto accusava il Governo Prodi di avere fatto regali alle banche. Vediamo dunque oggi a distanza di quindici mesi cosa sta accadendo a partire da questo decreto-legge che con l’articolo 12 alza il livello del confronto con i contribuenti per poi ammansirli, concedendo imposte sostitutive, copertura e impunità, per capitali detenuti all’estero illecitamente e che ora vengono fatti rimpatriare.

Si tratta di trattamenti di privilegio assoluto che premiano comportamenti illeciti e dai quali sono esclusi tutti coloro che pagano le imposte alla fonte, vale a dire i lavoratori dipendenti, i pensionati e tutti i cittadini e le cittadine onesti. Loro dovranno accettare che chi ha avuto comportamenti illeciti sul piano fiscale veda condonata la propria colpa con la corresponsione non del 5 per cento, come è stato più volte ribadito oggi, ma dell’1 per cento di quanto avrebbero dovuto. Come si potrebbe non chiamare questo condono?

Ma c’è dell’altro: lo scudo fiscale è stato definito una manna per gli istituti bancari poiché la gran parte delle risorse che hanno illegalmente soggiornato all’estero, dai 50 ai 70 miliardi dei 100-150 del rientro, sarà investito in fondi e le banche si troveranno ovviamente nuovi clienti. Lo dico soltanto per ricordare che il Ministro Tremonti si era proposto come paladino delle ragioni dei cittadini versus le banche, come se fossero uno dei suoi principali nemici. Infine, poiché tra le promesse della campagna e le accuse al Governo Prodi c’era pure il tema delle tasse, voglio ricordare due cifre: da un confronto svolto dagli esperti sulla pressione fiscale prodotta dal Governo Prodi e quella del Governo Berlusconi emerge che le misure discrezionali assunte dal primo hanno prodotto una riduzione delle imposte a carico delle famiglie e delle imprese di 4 miliardi e 653 milioni nel 2007; di 12 miliardi nel 2008 e, proiettati nel 2009-2010, ancora rispettivamente di 10,6 e 10,1 miliardi, riduzioni che non sono state realizzate per il cambio di Governo.

A fronte di queste riduzioni tra il 2007 e il 2008 si è verificato un rilevante incremento di gettito fiscale, determinato, come noto, da un recupero di evasione, un’enorme evasione fiscale che ahimè caratterizza questo Paese.

Il contrario sta accadendo ora: l’aggravio del prelievo fiscale è stimato in 4 miliardi. Un modesto miglioramento è previsto nel 2010 e un alleggerimento più consistente solo nel 2011.

È noto, a fronte di ciò, il clamoroso crollo delle entrate, solo in parte imputabile alla crisi produttiva. Voi pensate che sia questo il Paese nel quale vogliamo vivere e nel quale gli italiani vogliono vivere? Una società di diseguaglianze sempre più grandi, una società ingiusta, dove viene premiato chi fa cose illecite sottraendo alla comunità le risorse destinate a finanziare le infrastrutture di tutti, il sistema di protezione collettivo, quel welfare State che è il nostro vero patrimonio? Voi pensate che il fatto che chi fa questo venga premiato sia una cosa che piace agli italiani? Una società fatta così, come la vogliono il Premier Berlusconi e la sua maggioranza, non potrà tenere e non può tenere.

Non lo diciamo solo noi, lo dicono, per esempio, i vescovi italiani, che nella loro nota alla chiusura dell’ultimo incontro della Conferenza episcopale si sono pronunciati a questo riguardo: vi hanno ricordato che saranno i più poveri a pagare di più anche in questo caso.

Ma ve lo diranno presto anche gli italiani, quelli che resteranno purtroppo senza lavoro, quelli che, per esempio, saranno penalizzati e avranno difficoltà ad assicurare ai loro figli molto ma molto meno rispetto a quello che hanno i figli di coloro che hanno portato i capitali all’estero. Non credo che sia un bel Paese quello che voi ci preparate.

(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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abc last lug 22, 2009 Categorie: Parlamento ,In Parlamento
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