La Repubblica – Dobbiamo riuscire a tenere insieme regole e accoglienza.

mag 20, 2008 Categorie: Media ,Sui mass media
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Caro Direttore,
scrivo queste righe di getto dopo avere assistito in questi giorni, esattamente come ogni altro cittadino italiano, all’esplosione del problema “immigrati-sicurezza”, alla caccia ai Rom (che per qualcuno equivale a romeni), alle rassicurazioni per le badanti straniere (e i muratori? Loro potranno sperare di essere “salvati”?), e dopo essere stata costretta a leggere sulle pagine dei quotidiani bolognesi (già vivacizzate dal dibattito sui “city angels” e sulle ronde) la desolante vicenda di Terence Ako, il cittadino camerunese che, con il suo gesto, ci ha dato una bella lezione di dignità e di orgoglio.

Le scrivo ripensando ai miei primissimi anni di vita, quando raggiungevo i miei nonni per rimanere con loro anche per lunghi periodi, a Zurigo dove erano emigrati prima della guerra. Conservo molti ricordi di quell’esperienza. Abitavamo in una casa che a me pareva piuttosto bella, certo assai più confortevole di quella dove vivevo con mio padre, mia madre e i miei fratelli. Solo diversi anni dopo la guerra, con il boom economico e l’aiuto dei nonni “svizzeri” i miei genitori si sono costruiti una casa grande e comoda, con una vasca da bagno grande come quella di Zurigo e con i termosifoni invece delle stufe. A Zurigo mia sorella ed io frequentavamo l’asilo presso “La Casa degli italiani”. Non so dirle da chi fosse pagata la struttura, ma so che era gestito da suore. Ricordo che eravamo abbastanza contente anche se, ovviamente, frequentando un asilo italiano non abbiamo imparato neppure una parola di tedesco. Lingua che anche mia nonna ha molto poco frequentato e appreso. Perché, appunto, si sentiva respinta e poco in sintonia con “gli svizzeri”. Tra le poche parole che aveva imparato ad orecchio e che lei mescolava con il dialetto romagnolo c’erano: arbeit (lavoro) e “l’è muss”(muss significa dovere, e l’espressione va tradotta con “si deve”). La sua casa era sempre aperta per gli immigrati italiani ai quali i miei nonni davano ospitalità e assistenza soprattutto nei primi tempi “all’estero”.

In questi giorni ho provato sofferenza nel vedere le immagini dei Rom “deportati”, e nell’ascoltare discorsi pieni di luoghi comuni sulla pericolosità degli immigrati con graduatorie “per nazionalità”: in testa i romeni che sono percepiti come un po’ più pericolosi degli albanesi!

Ma grande preoccupazione ho provato quando ho letto della vicenda dell’immigrato “offeso” al quale, con molta intelligenza e sensibilità, il sindaco Cofferati, ha dato rassicurazioni in occasione di un incontro a Palazzo d’Accursio.

Proprio mentre il sindaco riceveva Terence Ako, il PD si trovava riunito a Forlì per l’assemblea regionale. E’ stato confortante sentire pronunciare parole come “comunità” insieme a “sicurezza”; e “solidarietà” insieme a “lavoro”, “accoglienza” insieme a “regole” . Non sarà semplice per noi trovare una strada corretta per tenerle sempre insieme e per tornare a farle apprezzare più ampiamente di quanto non accada anche qui, a Bologna.

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Ma so con certezza che questo è il nostro compito. Un compito che chiama in causa tutta la comunità e i suoi attori. Bene hanno fatto Cofferati e il consiglio comunale ad assumere l’iniziativa di deporre una corona sotto la lapide che ricorda lo sterminio degli zingari ad Auschwitz.

La difficoltà del problema che le nostre comunità sono chiamate a fronteggiare chiama in causa anche l’informazione, che deve avere l’onestà di rappresentare i problemi per quello che sono senza enfasi e senza strumentalizzazioni imparando a pesare bene le parole (ma quanto è abusato il termine “degrado”?) nella consapevolezza che ciò di cui si tratta è la vita di uomini e di donne.

Sandra Zampa
La lettera pubblicata su La Repubblica, edizione di Bologna

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abc last mag 20, 2008 Categorie: Media ,Sui mass media
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