Prendiamo esempio da Teresa Noce (Estella): combattente per la libertà, parlamentare e redattrice della Costituzione

Teresa Noce col nipotino Luca nel 1971

Teresa Noce col nipotino Luca nel 1971

Sabato 11 maggio, alle ore 10, le spoglie di Estella saranno traslate nel monumento della Certosa di Bologna dedicato ai partigiani caduti per la libertà durante una cerimonia organizzata dall’ Associazione Nazionale Partigiani D’Italia.

Estella è il nome di battaglia della partigiana Teresa Noce, combattente per la libertà in Italia, in Spagna, in Francia ed in Germania, sopravvissuta ai fascisti, ai franchisti ed ai campi di concentramento nazisti. Una delle cinque donne che, nell’ Assemblea Costituente, ha scritto la Legge fondamentale della nostra Repubblica.

Con rammarico non potrò partecipare a quella cerimonia, perchè sarò impegnata a Roma per l’Assemblea Nazionale PD, ma voglio ricordare qui la figura della donna che ha condotto le sue battaglie alla Camera proprio dallo stesso seggio in cui mi trovo io dalla scorsa legislatura.

Lo faccio proponendovi un documento rinvenuto presso l’archivio dell’ANPI e, credo, ancora mai pubblicato. E’ un ricordo, familiare ma forse proprio per questo ancora più prezioso, che Giuseppe Longo fece di sua madre nel 1990.

S.Z.

Giornata di studio su Teresa Noce

Bologna, 18 giugno 1990

Gli scritti che nessuno leggerà…

(Testimonianza di Giuseppe Longo)

Copertina del libro "Ma domani farà giorno" (1° Ed. 1952)

Copertina del libro "Ma domani farà giorno" (1° Ed. 1952)

Il primo degli “scritti che nessuno leggerà” è il diario d’amore di una ragazza ventenne. Lo ritrovai a Torino nel 1946.

Nato e cresciuto in esilio, tra Parigi e Mosca, feci conoscenza con i nonni paterni solo dopo la guerra. Per alcuni giorni fui loro ospite a Torino nella stanza che era stata di mio padre. Durante il ventennio fascista la stanza era rimasta così come lui l’aveva lasciata da giovane, con file di libri ben ordinati nei loro scaffali. Trovai infilato tra due libri un quadernetto di cui non mi fu difficile indovinare l’origine. Con larga calligrafia, pagina dopo pagina, una ragazza confidava al diario il suo amore. Dalle ultime pagine si apprendeva che l’innamorato era venuto a conoscere l’esistenza del diario e aveva chiesto insistentemente di vederlo. L’autrice era stata a lungo combattuta tra il timore e il desiderio di offrirglielo. Il luogo del ritrovamento indicava chiaramente l’esito del travaglio.

Presi il diario e alcuni libri e li riportai a Roma. Collocai i libri in bella mostra tra i miei, ma non feci parola del diario che tenni nascosto.

Alcuni mesi dopo, mentre mio padre e mia madre bisticciavano in tinello, mi intromisi osservando: “Mamma, eppure una volta avevi una ben diversa opinione di papà”. “Come sarebbe a dire?”. “Come…, non ti ricordi che ti sembrava un gigante, una montagna enorme e inaccessibile, mentre tu desideravi essere un torrente impetuoso che vi si avvinghiasse scendendo dalla sua cima?”. Dopo un momento di muto stupore, mio padre e mia madre chiesero come facessi io a sapere certe cose. Quando tirai fuori il diario dal suo nascondiglio fu una gara per impadronirsene: “è mio, l’ho scritto io”, “è mio, me lo ha regalato”. Consegnai il diario a mia madre e non lo rividi mai più.

Da un punto di vista letterario, non credo che questo diario avrebbe aggiunto molto all’opera di Estella. Penso però che sarebbe stato un’utile testimonianza per ricostruire le caratteristiche umane dei “rivoluzionari professionali”, per rendersi conto che erano uomini e donne di carne e ossa, con le loro passioni, i loro amori, le loro ingenuità, i loro limiti.

Originale della prefazione di Nilde Jotti

Originale della prefazione di Nilde Jotti

Ben diverso penso sia il valore del secondo scritto “che nessuno leggerà”. Forse è l’opera letteraria di Estella di maggior pregio. Mi rendo conto che ci sono ottimi motivi per ritenere che il mio giudizio su questo scritto possa non essere obiettivo. E’ probabile, purtroppo, che non potremo verificarlo.

E’ un romanzo che Estella scrive di getto nei primi due o tre mesi del 1954. E’ il periodo che segue la rottura legale del suo matrimonio e la sua estromissione dalla Direzione del PCI, che essa definisce “il più grave trauma, politico e personale, della mia vita. Grave e doloroso più del carcere, più della deportazione”.

Il romanzo venne scritto nella nostra casa di Milano al ritmo di 10-15 cartelle dattiloscritte al giorno, che venivano lasciate ben in vista sul suo tavolo. Fu così che lessi il romanzo a mano a mano che veniva scritto. Solo quando l’opera fu portata a termine, azzardai qualche frase di commento. Per tutta risposta ne ebbi una sfuriata perchè mi ero permesso di guardare le sue carte. La sfuriata mi lasciò indifferente: capivo che i fogli erano stati lasciati in bella mostra perchè io li potessi leggere e la sfuriata serviva solo a troncare ogni tentativo di discussione. Non ne parlammo più, nè ho più rivisto quello scritto.

Ricordo molto bene quel testo che io chiamerei il suo “romanzo cattolico postumo”.

Originale della prefazione di Nilde Jotti

Originale della prefazione di Nilde Jotti

E’ un romanzo, per il genere letterario scelto dalla narratrice, anche se il romanzo è scritto sotto forma di diario e tutti i personaggi ivi descritti sono realmente esistiti. A suo tempo, non ebbi alcuna difficoltà ad individuare in questi personaggi i principali dirigenti del PCI, sia perchè li conoscevo tutti molto bene, sia perchè i nomi loro affibbiati erano fin troppo trasparenti. La narratrice si chiamava, infatti, Poma (Noce), suo marito era Corti (Longo), mentre Datteri non poteva che essere Palmiro (Togliatti), Piccioni era certamente Arturo Colombi e così via.

Ho definito “cattolico” il romanzo, in quanto tutti i personaggi vi sono descritti non come comunisti, ma come appartenenti ad organizzazioni cattoliche. Questa descrizione non altera la realtà: i personaggi sono animati da una fede profonda, da loro vissuta come “scelta di vita”, a cui sono pronti a tutto sacrificare. E’ questa fede che li ha portati a un comune impegno antifascista, all’esilio, alle carceri, alla lotta partigiana. Ma nel libro l’impegno politico e la fede religiosa rimangono sullo sfondo. Predominano invece i rapporti personali tra i protagonisti, i loro affetti, i loro amori.

Il libro è un romanzo “postumo”: si presume, infatti, che la narratrice sia morta il giorno dopo aver consegnato il dattiloscritto alla redazione di un giornale. La dinamica dell’incidente, ricordato nella nota di presentazione, non ha permesso di stabilire se si sia trattato di una disgrazia o di un suicidio e non si è neanche certi che la vittima sia proprio l’autrice del libro.

Forse è proprio questa sua caratteristica – di essere un romanzo “postumo”, probabilmente destinato ad essere pubblicato solo dopo la morte dell’autrice, scritto in un periodo di crisi profonda in cui l’idea del suicidio era certamente presente – che ha reso il libro più schietto ed immediato, facendogli compiere quel salto che divide una cronaca sentita da un’opera letteraria.

Dopo la morte di mia madre non ho ritrovato nè il suo diario da ragazza, nè il romanzo “postumo”. E’ quindi possibile che li abbia distrutti. Ho trovato invece l’inizio di un secondo romanzo, “cattolico” anch’esso, ma non più “postumo”. Appare come un rifacimento del precedente; meno schietto, forse perchè destinato alla pubblicazione mentre l’autrice era in vita. Questo secondo romanzo cattolico si interrompe bruscamente a metà frase dopo quaranta cartelle dattiloscritte. Fu forse abbandonato per passare a una descrizione certamente più rigorosa, ma meno immediata, dei medesimi personaggi, prima nel volume “Vivere in piedi” e finalmente in “Rivoluzionaria Professionale”.

Il diario d’amore non è ricordato in nessuno dei libri pubblicati da Estella. Lo era, invece, sia nel primo che nel secondo romanzo “cattolico” e il secondo si apre con il brano seguente:

“Ieri, mettendo un po’ d’ordine tra le mie scartoffie, mi è venuto tra le mani un vecchio quaderno. Era il mio diario di ragazza.

Ne ho riletto alcune pagine. Com’ero ingenua, fresca e fiduciosa, allora!

Avevo vent’anni ed amavo per la prima volta. Dovevo per forza confidare a qualcuno o a qualche cosa tutto ciò che mi riempiva il cuore.

Ecco la ragione del quadernetto in cui scrivevo il mio diario. Ero persuasa, a quel tempo, che l’amore sarebbe durato eternamente, perfino oltre la morte. E che mai avrei cessato di amare Giovanni, che mai Giovanni avrebbe cessato di amarmi.

Poi gli avvenimenti interruppero il diario.

Dittatura fascista, leggi eccezionali, fuga, esilio, guerra.

Durante anni ed anni il tenere un diario sarebbe stato un’incongruenza, oltre che un’imprudenza ed un pericolo. E poi… sposata finalmente a Giovanni, non sentivo più così impellente il bisogno di parlare del mio amore.

Per oltre vent’anni il quadernetto è stato così dimenticato, nascosto tra le vecchie carte e fotografie di famiglia. Ed oggi è tornato alla luce solo per farmi sentire più viva l’amarezza di ciò che non è più, forse di ciò che non è mai stato altro che nella mia fantasia.”

Teresa Noce durante il VI Congresso del PCI del 1947, assieme a (da sinistra) Luigi Longo, Agostino Novella e Giuseppe Di Vittorio

Teresa Noce durante il VI Congresso del PCI del 1947, assieme a (da sinistra) Luigi Longo, Agostino Novella e Giuseppe Di Vittorio

Vorrei ricordare qui un terzo “scritto che nessuno leggerà”. Si tratta di un libro per cui mia madre aveva incominciato a raccogliere materiale pochi mesi prima di morire. Ne aveva scritto la nota introduttiva, lo schema e il titolo “A memoria di donna (Galleria di comuniste nel mondo)”. Dalla nota introduttiva si apprende che intendeva scrivere “della vita di alcune donne comuniste, delle loro lotte, dei loro sacrifici, del loro lavoro – non solo in quanto militanti o dirigenti politiche o combattenti partigiane, ma in quanto donne, con i loro amori, il loro sesso, la loro maternità, i loro problemi di tutti i giorni”. Queste donne erano: per l’Italia, Rita Montagnana, Camilla Ravera, Rina Piccolato, Gisella Floreanini, Maria Maddalena Rossi; per la Francia, Gilberte Lenoir, Pauline Marty, Matilde Péri, Marie-Claude Vaillant Couturier; vi erano poi Dolores Ibarruri (Spagna), Anna Pauker (Romania), Klara Zetkin (Germania) e Elena Stassova (URSS).

Penso che il poter leggere questi tre scritti – dei venti, cinquanta e ottant’anni di Estella – avrebbe permesso, non solo di capirne meglio la personalità, ma soprattutto di capire meglio chi erano i comunisti, le donne comuniste in particolare, capire la loro umanità, spesso offuscata in scritti agiografici o denigratori.

Rispetto ai casi precedenti, vi sono maggiori probabilità che il quarto scritto, che voglio menzionare, possa essere letto un giorno, anche se fin’ora questa impresa non mi è riuscita. Ne conosco l’esistenza solo attraverso lo scambio di lettere del 1965-1966 tra Estella e Victor Joannès, direttore dell’ “Institut Maurice Thorez” di Parigi. Da queste lettere risulta che viene chiesto a Estella di scrivere una relazione sulla sua attività clandestina in Francia, dal 1941 al 1943, quale dirigente dei gruppi di resistenza sorti tra i lavoratori stranieri della MOI (Mano d’Opera Immigrata).

La relazione fu scritta e inviata a Parigi, come testimonia la lettera del 28 aprile 1966 di Victor Joannès che scrive “Il vostro contributo è buono e sarà largamente utilizzato. Vi ringraziamo di questo primo contributo e rimarremo in contatto con voi per arricchirlo ulteriormente.” I miei tentativi di ottenere da Parigi copia della relazione e notizie su un suo eventuale utilizzo sono sempre risultati vani.

E’ vero che l’attività clandestina della MOI è stata descritta in “Rivoluzionaria professionale”, ma una relazione particolareggiata su questo tema specifico permetterebbe di gettar luce su una pagina della Resistenza italiana che incomincia ben prima del 25 luglio 1943. Difficilmente questa pagina dimenticata verrà riportata alla luce se la parte francese non riceverà forti sollecitazioni in questo senso. Può darsi che questo possa essere un primo argomento di ricerca, in tutti i sensi della parola, per chi usufruirà della borsa di studio di cui si parla oggi.

Giuseppe Longo, figlio di Teresa Noce (Estella) e di Luigi Longo (Gallo)

 Scarica l’invito alla cerimonia dell’11 maggio alla Certosa di Bologna

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