Non c’è futuro se non quello che si prepara nel presente

“… E’ questo il punto sostanzialmente eversivo e tecnicamente intollerabile del discorso berlusconiano sulla giustizia, indipendentemente dall’esito dei procedimenti in corso a suo carico: il sostenere – senza esibire prove e senza farne conseguire a sua volta azioni giudiziarie specifiche- che la magistratura (o parti di essa) avrebbe commesso e starebbe reiterando il più grave dei reati ad essa attribuibili, vale a dire agire non in applicazione delle leggi ma al fine di abbattere un legittimo potere dello stato? l’idea, propria di sostenitori di Berlusconi, che sia in corso un braccio di ferro tra poteri che va sciolto facendo prevalere quello dei due legittimato dal voto popolare, ossia appunto il capo della maggioranza e del governo, appare molto simile a un sofisma: l’investitura del voto non può autorizzare la pretesa del premier di agire ‘legibus solutus’ ed è questa pretesa a porsi in patente conflitto con lo stato di diritto?. Benché simili comparazioni abbiano più che altro un valore didascalico va notata la somiglianza tra questo discorso berlusconiano sulla giustizia e quelli pronunciati da altri capi di governo in momenti cruciali della storia nazionale. Mi riferisco in particolare a quello di Mussolini del gennaio 1925 e a quello di Craxi del 1992. Nel gennaio del ’25  non negò gli addebiti ma affermò nei fatti che la politica, in questo caso l’azione di governo, non poteva fermarsi: era il segnale che la costruzione del regime totalitario aveva la porta spalancata. Nel 1992 Craxi, in un memorabile discorso parlamentare, non negò affatto l’esistenza di tale sistema, anzi fece una chiamata di correo nei confronti di tutta la classe politica, ma affermò che proprio per questo era la politica stessa, non la magistratura, a dover risolvere il problema. Anche nel suo caso la pretesa era affermare la superiorità della politica rispetto al vincolo delle leggi, almeno in situazioni di emergenza. Nel caso di Berlusconi c’è però qualcosa di più: non solo la negazione di ogni tipo di responsabilità ma l’attribuzione del conflitto stesso con la magistratura a una macchinazione di quest’ultima”.

In queste ore che fanno seguito alla manifestazione della sinistra a Roma, ho scelto di condividere con voi alcuni passaggi del volume “Berlusconi passato alla storia. L’Italia nell’era della democrazia autoritaria” di Antonio Gibelli, docente di storia contemporanea all’Università di Genova e membro del comitato scientifico dell’Historial de la Grande Guerre. Passaggi che colpiscono per l’attendibilità dell’analisi di una realtà che abbiamo visto compiersi anno dopo anno sotto i nostri occhi e alla quale abbiamo saputo rispondere innalzando un argine di resistenza, rappresentato dalla duplice vittoria del centrosinistra guidato da Prodi. Un argine sempre travolto prima del tempo per le nostre stesse incapacità. Ho scelto di citare quelle pagine e di richiamare alcuni passaggi della storia di questi quindici anni per due ragioni. La prima è che il voto del 27 e 28 marzo può aprire finalmente una piccola breccia nel muro di gomma della destra e lasciarci intravvedere un orizzonte. La seconda ha a che fare con la figura del Caimano, evocato nei giorni scorsi. E’ mai scomparso il Caimano? A me non pare. Si è limitato a immergersi nei momenti in cui, non detenendo il potere, era più prudente e utile al suo disegno non avere troppa visibilità.

La testimonianza che indirettamente (editoriale di Scalfari di domenica 14 marzo) ci arriva dal Presidente Ciampi parla da sé. In queste settimane abbiamo assistito ad uno spettacolo avvilente allestito attorno al problema delle liste del Pdl della Lombardia e di Roma. Il primo caso si è risolto da sé. Il secondo non può risolversi perché la lista non è mai stata presentata. Chi ha combinato il pasticcio era probabilmente certo di potersela cavare. Chi si sarebbe assunto il rischio di fermarli?

A forza di pensare che Berlusconi non è tenuto a rispettare la legge, si corre il rischio di convincersi che il privilegio, per la proprietà transitiva, si estenda a tutti coloro che “lavorano” per lui. Ma le cose non sono andate così: perciò Berlusconi ha dovuto rinfrescare il repertorio noto e ha denunciato l’esistenza di un’ associazione a delinquere che coinvolge anche magistrati. La Russa ha plasticamente reso la qualità della relazione che lega il capo e i suoi: occorre servirlo anche a costo di prendere fisicamente di petto chi gli si contrappone con domande insistenti e fastidiose. Ma in queste ore arriva anche la notizia (confermata nel momento in cui mi accingo a licenziare questo testo) di una nuova indagine a carico del premier, e con lui di Innocenzi e del direttore del TG1, Minzolini. Un fatto che richiama la nostra attenzione proprio sull’altra grande anomalia di questo premier.

Il problema del conflitto d’interessi e della patologica relazione di Berlusconi con il sistema dell’informazione. Che importa se un’azienda pubblica rischia di perdere il suo valore, perché il suo prodotto di punta, l’informazione, non è più attendibile? Sono stata incerta fino all’ultimo minuto se dedicare questa riflessione al “Berlusconi passato alla storia”. Conosco, non fosse altro che in ragione della mia professione, la polemica sulla necessità di rimuovere persino il nome del “Cav” dai nostri discorsi, di evitare demonizzazioni della sua persona, e condivido   assolutamente l’esigenza di parlare finalmente del Paese, dei suoi problemi e del suo futuro. Per ritrovare la fiducia della maggioranza degli italiani noi dobbiamo avere la certezza e farla apprezzare loro che un’altra Italia è possibile.

Ma non riesco a non farmi questa domanda. Se “Berlusconi ha imposto- come scrive ancora Gibelli- un nuovo senso comune e ha fatto di questo una sabbia mobile nella quale i suoi avversari rimangono regolarmente impigliati”, qual è il nostro compito? Non abbiamo il dovere civico di denunciare ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi? Non dobbiamo riscuotere l’opinione pubblica prima che la situazione sia irrimediabilmente logorata o compromessa? Sbaglia chi sostiene che parlare del futuro e di un’altra Italia non sia compatibile con la denuncia puntuale e spietata di un disegno di stravolgimento istituzionale e costituzionale.

Un disegno che è sempre più vicino alla sua realizzazione finale e che Berlusconi intende questa volta portare fino in fondo. Non ci si può tirare fuori sperando a destra di “farefuturo”, o di stare al centro immobili perché c’è’ sempre un’altra cosa più importante.

Non c’è futuro se non quello che si prepara nel presente.

Non c’è una cosa più importante del rispetto delle leggi se si vuole tutelare la democrazia.

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