Ripensare radicalmente il sistema di detenzione degli immigrati irregolari

Care amiche e cari amici,

qui di seguito trovate il testo della Mozione – della quale sono prima firmataria – per una ricostruzione radicale dell’attuale sistema di detenzione amministrativa. Fermo restando il diritto dello Stato di decidere chi e a quali condizioni possa permanere sul territorio nazionale, occorre limitare al massimo la necessità e l’utilizzo dei CIE, rivedendone completamente la normativa, l’organizzazione e la gestione.

SZ

Mozione

La Camera,

premesso che:

l’articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, così come modificato dall’articolo 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94, ha introdotto nel nostro ordinamento il “reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”;

tale reato, oltre che punire una condizione più che una condotta, in sede applicativa nei confronti dei migranti ha determinato la condanna dell’Italia da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo per non aver rispettato il principio del non respingimento, contenuto nella Convenzione di Ginevra del 1951;

secondo i dati di Famiglia Cristiana, che riprende quelli elaborati dalla Direzione generale della giustizia penale del Ministero di Giustizia, paradossalmente, nel periodo in cui non esisteva il reato summenzionato, il numero di espulsioni per coloro che si trovavano in Italia in maniera irregolare era addirittura maggiore: 49 per cento nel 2003 contro il 28 per cento del 2012;

premesso inoltre che:

i Centri di identificazione ed espulsione (CIE), istituiti dalla legge 6 marzo 1998, n. 40, e previsti dal Testo Unico sull’immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), sono strutture di trattenimento degli stranieri in condizione di irregolarità, destinati all’espulsione;

l’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, così come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, c.d. legge “Bossi-Fini”, prevede che “quando non sia possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento”, “il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso” il CIE e che quindi tali strutture siano destinate al trattenimento, convalidato dal Giudice di Pace, dei cittadini stranieri extracomunitari irregolari e destinati all’espulsione;

dall’8 agosto 2009, con l’entrata in vigore della legge 15 luglio 2009, n. 94 (c.d. Pacchetto Sicurezza), il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri è passato da 60 giorni a 180 giorni complessivi, rafforzando così la loro natura di luoghi di permanenza obbligatoria, caratterizzandosi come luoghi di detenzione amministrativa delle e dei migranti;

secondo i dati forniti dalla Polizia di Stato, nel 2012 sono stati 7.944 (7.012 uomini e 932 donne) i migranti trattenuti in tutti i CIE operativi in Italia. Di questi solo la metà (4.015) sono stati effettivamente rimpatriati con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) del 50,54 per cento. Rispetto al 2010, il rapporto tra i migranti rimpatriati rispetto al totale dei trattenuti nei CIE è incrementato di appena il 2,3 per cento, mentre rispetto al 2011, l’incremento del tasso di efficacia nei rimpatri è risultato addirittura irrilevante (+0,3 per cento): si conferma dunque la sostanziale inutilità dell’estensione della durata massima del trattenimento ai fini di un miglioramento nell’efficacia delle espulsioni;

considerato che:

il citato articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, al comma 2, dispone che in tali centri lo straniero è trattenuto “con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità”;

l’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 specifica che le modalità del trattamento nei CIE “devono garantire, nel rispetto del regolare svolgimento della vita in comune, la libertà di colloquio all’interno del centro e con visitatore proveniente dall’esterno, in particolare con il difensore che assiste lo straniero, e con i ministri di culto, la libertà di corrispondenza, anche telefonica, ed i diritti fondamentali della persona” e che in tali centri devono essere presenti “i servizi sanitari essenziali, gli interventi di socializzazione e la libertà di culto” e i “servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale”;

all’interno dei CIE si sono verificati gravi violazioni dei diritti umani, come denunciato sia da inchieste ed articoli di stampa, sia dalle associazioni di volontariato e dalle associazioni per la tutela dei diritti umani tra le quali anche Amnesty International e Medici senza Frontiere, e fin dall’indagine interministeriale presentata dall’Ambasciatore de Mistura nel 2007;

in particolare, come risulta dall’indagine “Arcipelago CIE” realizzata tra febbraio 2012 e febbraio 2013 da Medici per i diritti umani (MEDU) e pubblicata a maggio 2013, la struttura dei CIE è simile a quella dei centri di internamento. «L’inattività forzosa per prolungati periodi di tempo, in spazi angusti ed inadeguati, insieme all’incertezza sulla durata e l’esito del trattenimento, rendono il disagio psichico dei migranti uno degli aspetti più preoccupanti e di più difficile gestione all’interno dei centri»;

da un punto di vista prettamente sanitario, le indagini MEDU evidenziano che «In generale all’interno dei CIE non è previsto personale medico specialistico anche laddove sarebbe certamente necessario»;

considerato inoltre che:

in una lettera indirizzata alla Ministra dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, e datata 11 giugno 2012, gli onorevoli Livia Turco e Roberto Zaccaria hanno riferito circa le visite ispettive, effettuate da parte di alcune delegazioni di Parlamentari, all’interno di diversi CIE presenti sul territorio italiano nel corso del mese di giugno 2012, al fine di avere una conoscenza diretta delle condizioni di permanenza dei migranti trattenuti;

dalle visite effettuate sono emerse diverse criticità e primariamente un’altissima compressione dei diritti fondamentali: pur in presenza di un titolo di detenzione solo amministrativo, ai fini dell’identificazione, dell’espulsione o del rimpatrio, si è riscontrata la presenza di persone private della libertà personale per lunghissimi periodi di tempo, impossibilitate a svolgere alcun tipo di attività ricreativa, lavorativa, formativa;

l’assenza di un regolamento “comune” per tutti i CIE presenti in Italia, e la presenza di soli regolamenti adottati dalle prefetture di competenza, determina un diverso grado di flessibilità nei diritti concessi, anche sulla base della diversa interpretazione delle “ragioni di sicurezza”;

altro dato preoccupante è costituito dalla forte eterogeneità e promiscuità delle persone presenti all’interno dei CIE: vi si trovano persone che hanno a lungo risieduto legalmente in Italia e che, ad un certo punto, per le ragioni più diverse, hanno perso il permesso di soggiorno (c.d. overstayers); richiedenti asilo che hanno inoltrato la domanda dopo essere giunti al CIE e che dunque non sono stati trasferiti in un CARA; ex detenuti, a fine pena, che sono stati poi trasferiti nel CIE in attesa di identificazione o di rimpatrio; nonché numerose persone che sono state a lungo trattenute nei CIE, poi rilasciate e che, nuovamente fermate, vi rientrano;

in particolare, ha destato preoccupazione la presenza nei CIE di un elevato numero di ex detenuti, che dopo aver scontato pene anche di diversi anni, vengono trattenuti per ulteriori lunghi periodi di tempo all’interno dei CIE, nonostante una direttiva interministeriale del 30 luglio 2007, degli allora Ministri Amato e Mastella, stabilisse che, in linea con le indicazioni dell’allora Rapporto De Mistura, l’identificazione per i detenuti dovesse avvenire in carcere, e non più negli allora CPT, da considerarsi come luoghi destinati più utilmente al riconoscimento di altri soggetti. Riconoscimento che, comunque, si presenta problematico e che causa un considerevole impiego di forze dell’ordine, sia per gli impegnativi compiti di sorveglianza che per quelli di accompagnamento presso i tribunali competenti;

tutte le criticità rilevate nel corso delle visite da parte di delegazioni di parlamentari, sono fortemente aggravate dall’allungamento del termine massimo di permanenza all’interno di un CIE che, senza riuscire a facilitare il problema dell’identificazione e dei rimpatri, ha finito per creare una sorta di limbo giuridico, caratterizzato dalla negazione di diritti – anche fondamentali -, nel quale i trattenuti possono permanere fino a 18 mesi e al quale occorre urgentemente porre rimedio;

rilevato che:

nel giugno del 2012, in concomitanza con l’emersione di lacune strutturali che avevano portato alla chiusura del “Serraino Vulpitta” di Trapani e del “Malgrado Tutto” di Lamezia Terme e di gravi inadempienze contrattuali emerse in numerosi centri, l’allora Ministra dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, ha istituito una task force, con il compito di analizzare la situazione in cui versano i CIE, relativamente agli aspetti di carattere normativo, organizzativo e gestionale, al fine di elaborare proposte normative atte a migliorare l’operatività dei centri di espulsione ed assicurarne l’uniformità di funzionamento a livello nazionale;

precedentemente, nel luglio 2006, con decreto dell’allora Ministro dell’Interno, Giuliano Amato, venne istituita la Commissione De Mistura, il cui citato rapporto fu depositato il 31 gennaio 2007. Vale rilevare la diversa composizione delle due Commissioni: la Commissione del 2012 è stata composta esclusivamente da funzionari del Ministero dell’interno, mentre la Commissione precedente era composta sia da membri ministeriali che da appartenenti all’associazionismo (una commissione “mista”);

la Commissione De Mistura operò visitando tutti i centri, incontrando le Prefetture, le Questure, ascoltando le associazioni dei vari territori, gli enti locali e le persone trattenute; esaminò inoltre i documenti che le venivano sottoposti e raccolse direttamente migliaia di dati, anche attraverso l’utilizzo di apposite schede di rilevazione;

le conclusioni della Commissione De Mistura non trovarono attuazione, nè paiono esser state tenute a riferimento nell’impostazione dell’indagine 2012. Le risultanze dei due Rapporti appaiono estremamente diverse, così come le conclusioni. Infatti, mentre la Commissione De Mistura, dopo avere analizzato tutte le criticità presenti nei luoghi di detenzione amministrativa, concludeva per il “superamento” degli allora C.P.T.A. attraverso il loro “svuotamento”, la più recente task force ha elaborato un “Documento programmatico” che, pubblicato solo ad aprile 2013, e quindi in fase di dimissione del governo, è volto ad implementare i centri di detenzione amministrativa, individuando le criticità prevalentemente condotta delle persone trattenute;

rilevato inoltre che:

le soluzioni prospettate nel progetto di revisione del “sistema Cie”, tutto condensato in 27 pagine, più allegati, muove dal presupposto della necessità dei CIE e prevede numerose novità sia dal punto di vista amministrativo che del funzionamento vero e proprio;

in tal senso, nel c.d. Rapporto Ruperto, si coglie una sorta di ulteriore discostamento delle prassi e delle normative sul trattenimento amministrativo in Italia, rispetto alla Direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio, nota come “direttiva rimpatri”;

infatti, ogni passo del Rapporto apre un elemento di problematicità: ad esempio, nel prendere atto del fatto che i CIE operano con capienza ridotta a causa del danneggiamento dei locali causato dai trattenuti, non si affronta il correlato tema per cui il forte ribasso dei corrispettivi previsti dalle convenzioni agli enti gestori ha portato ad una diminuzione del personale degli stessi;

nel Rapporto si annuncia poi che molti immigrati senza documenti potranno essere rimpatriati con maggiore velocità utilizzando non i CIE, ma i CPSA (Centri di primo soccorso e accoglienza), che, con procedimenti spesso informali, comportano il rischio del ricorso alle espulsioni cc.dd. collettive – la cui pratica è da ritenersi illegittima secondo l’articolo 4 del Protocollo 4 allegato alla Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo –, in violazione gli stessi accordi di Schengen;

altro aspetto su cui il Rapporto si sofferma molto è la necessità di prevenire e contenere gli atti di ribellione, isolando in appositi spazi i rivoltosi e addirittura i “potenziali” rivoltosi, prevedendo celle speciali in carceri speciali;

a riguardo, la sentenza n. 1410 del 12 dicembre 2012 del Tribunale di Crotone, ha stabilito che i protagonisti della rivolta nel CIE di Crotone – i quali, saliti sul tetto della struttura, hanno lanciato alcuni oggetti contundenti contro le forze dell’ordine – non sono colpevoli di danneggiamento e offesa a pubblico ufficiale in quanto agirono per “legittima difesa” e la reazione degli stranieri alle “offese ingiuste” è da considerarsi proporzionata. Il giudice ha infatti scritto che, nel caso dei CIE, si tratta di “strutture – nel loro complesso – al limite della decenza, intendendo tale ultimo termine nella sua precisa etimologia, ossia di conveniente alla loro destinazione: che è quella di accogliere essere umani. E, si badi, esseri umani in quanto tali, e non in quanto stranieri irregolarmente soggiornanti sul territorio nazionale; per cui lo standard qualitativo delle condizioni di alloggio non deve essere rapportato al cittadino straniero irregolare medio (magari abituato a condizioni abitative precarie), ma al cittadino medio, senza distinzione di condizione o di nazionalità o di razza”;

rilevato infine che:

da ultimo, il caso Alma Shalabayeva ha mostrato come, secondo quanto dichiarato dal Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, in un articolo pubblicato su l’Unità del 17 luglio 2013, “accade che la politica dei respingimenti venga praticata con brutale efficienza nei confronti di migliaia di anonimi immigrati e richiedenti asilo” e come, dunque, tale caso istituzionale “potrebbe rappresentare l’occasione per ripensare a fondo la materia e per interrogarsi, in particolare, sulla legittimità di queste forme di rimpatrio: quante espulsioni espongono lo straniero al rischio di trattamenti illegali e crudeli?”;

impegna il Governo a:

a ripensare radicalmente l’attuale sistema di detenzione amministrativa, con l’obiettivo di limitarne al massimo la necessità e l’utilizzo:

1) introducendo politiche migratorie atte a garantire effettive possibilità di ingresso regolare e di inserimento sociale;

2) intervenendo sulla disciplina del periodo di permanenza,di modo che si eviti il trattenimento nei CIE di coloro che hanno bisogno di protezione sociale come le vittime di tratta, i minori, i richiedenti asilo o chi, nonostante un periodo di detenzione, non è stato identificato in carcere;

fermo restando il diritto dello Stato di decidere chi e a quali condizioni possa permanere sul territorio nazionale, nonché il diritto dello Stato di effettuare trattenimenti ai fini dell’identificazione e dell’espletamento delle procedure di rimpatrio, a:

1) garantire che tali pratiche avvengano nel massimo della trasparenza e, soprattutto, del rispetto della dignità e dei diritti fondamentali della persona;

2) rivedere il testo unico sull’immigrazione di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, al fine di rendere più accessibili le regolarizzazioni e gli ingressi legali e, in osservanza della Direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio, nota come “direttiva rimpatri”, disciplinare il trattenimento solo come “estrema ratio”;

3) rivedere gli aspetti di carattere normativo, organizzativo e gestionale dei CIE, anche attraverso il confronto con le istanze della società civile, al fine di migliorare l’operatività dei centri di espulsione ed assicurarne l’uniformità di funzionamento a livello nazionale.

Zampa, Martella, Civati, Villecco Calipari, Murer, Mogherini, Madia, Cenni, Bellanova, Gozi, Grassi, Lenzi, Carra, D’Incecco, Tullo, Amoddio, Blazina, Incerti, Iori, Galli, Fabbri, Guerini, Porta, Garavini, Piccione, Fontana, La Forgia, Malpezzi, Di Maio, Ghizzoni, Marzano, Pes, Gadda, Senaldi, Gribaudo, Cimbro, Gnecchi, Quartapelle, Procopio, Velo, Lattuca, Moscatt, Tentori, Antezza, La Marca, Fiano, Capone, Ghedini

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2 Risposte a “Ripensare radicalmente il sistema di detenzione degli immigrati irregolari”

  1. […] La mozione del Partito Democratico, primo firmatario Sandra Zampa, chiede al Governo un impegno a: ripensare radicalmente l’attuale sistema di detenzione amministrativa, con l’obiettivo di limitarne al massimo l’utilizzo; rivedere il Testo Unico sull’immigrazione introducendo politiche migratorie atte a garantire effettive possibilità di ingresso regolare e di inserimento sociale; intervenire sulla disciplina del periodo di permanenza, per il trattenimento nei Cie di persone vulnerabili o che non sono state identificate in carcere; a dare la massima trasparenza alle procedure di identificazione; e, soprattutto, del rispetto della dignità e dei diritti fondamentali della persona. Per i firmatari va rivisto il T.U. sull’immigrazione per rendere più accessibili le regolarizzazioni e gli ingressi legali e disciplinare il trattenimento solo come “extrema ratio”. […]

  2. […] mozione del Partito Democratico, primo firmatario Sandra Zampa, chiede al Governo un impegno a: ripensare […]

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